Ciao Eliana e benvenuta!
Io sto facendo esattamente il percorso inverso rispetto al tuo: mi sono laureato alla triennale in biomedica e sono al secondo anno della magistrale in elettronica.
La questione è davvero complicata ed è da diverso tempo che ci ragiono su.
Penso che, in un Paese pronto per l'ingegneria biomedica, sia da un punto di vista lavorativo, sia da un punto di vista educativo, abbia davvero molto più senso il percorso che hai scelto di fare tu: partire con una base solida in un campo preciso (elettronica/informatica/automazione/materiali/chimica etc.) e poi specializzarsi in biomedica cioè approfondire le competenze del campo da cui si proviene con le applicazioni che trovano in ambito biomedicale.
Questo percorso però presuppone un requisito fondamentale: il corso di laurea magistrale in biomedica deve essere EFFETTIVAMENTE APERTO a 360° verso TUTTI i settori che trovano applicazione in biomedica e deve offrire agli studenti la possibilità di scegliersi un percorso consono con la loro provenienza, con il denominatore comune, il vero e proprio "core" del biomedico, costituito dalla conoscenza dell'anatomia e della fisiologia umana e in particolare delle interazioni del corpo con le influenze esterne (martellate, scosse elettriche, ustioni da acido e tante altre simpaticissime cose
).
Dal momento che:
- L'Italia non è neanche lontanamente un Paese pronto per l'ingegneria biomedica, né dal punto di vista lavorativo (per molte aziende "il biomedico non è un ingegnere "...), né dal punto di vista educativo (in confronto ad altre università estere in biomedica siamo proprio a livello "addovai?!");
- Atenei con un corso di biomedica così interdisciplinare e aperto a 360° in Italia non esistono (ma forse neanche nel mondo, bisognerebbe approfondire), né esiste una rosa di atenei che affrontino, sia pure singolarmente, le applicazioni biomediche dei singoli settori di base;
credo che la specializzazione in biomedica continui a non garantire un'adeguata preparazione a chi vuole lavorare in un certo settore applicativo e per di più non gode nemmeno di una buona fama a livello italiano.
Il motivo della mia scelta di proseguire con la specialistica in elettronica è stato proprio questo: nonostante l'amore e la passione per la biomedica, che continua ad essere il mio obiettivo principale, mi sono reso conto che per lavorare VERAMENTE nell'ambito dell'elettronica biomedica è necessario avere, giustamente, un'adeguata preparazione da elettronico (elettronica analogica e digitale con i controcazzi, misure elettroniche, programmazione orientata alla realizzazione di firmware per microcontrollori, DSP e relativi algoritmi e circuiti e tanto altro) che la maggior parte dei corsi di biomedica in Italia non avrebbe potuto darmi, a giudicare dal piano di studi. Ho deciso di cambiare perché voglio realmente arrivare a lavorare in quest'ambito, a progettare strumentazione elettronica per applicazioni biomediche e per questo i biomedici italiani non hanno veramente le competenze.
Questo è confermato anche dal fatto che l'albo degli ingegneri consente agli ingegneri biomedici che scelgono il ramo "Ingegneria dell'informazione" di partecipare alla progettazione di strumentazione elettronica ma non prevede che possano effettivamente realizzare uno strumento elettronico e garantire in prima persona per la sua completa funzionalità.
Insomma studiare duramente per altri due anni per poi trovarmi di fronte all'evidenza di non avere le competenze per poter lavorare in ambito elettronico per le applicazioni biomediche era il mio incubo peggiore, per cui ho preso coraggio e ho deciso di darci dentro con l'elettronica (sia pure con qualche esame di debito).
Ora io penso che ci sia una sola cosa che ci salva davvero:
nel resto del mondo conta cosa sai fare, non cosa il tuo pezzo di carta con su scritto "Laurea" attesta che tu sai fare. Si ripropone la questione delle competenze personali:
è il singolo a decidere cosa vuole studiare approfonditamente e quali competenze specialistiche vuole acquisire, per cui sta a lui crearsi un solido background, funzionale per l'attività che vorrebbe svolgere in futuro.
Già solo cercando dei bandi di dottorato all'estero si può notare come non siano interessati a "che ingegnere sei?", ma a "
in cosa sei capace/esperto?" perché alla fine servono competenze reali, non piani di studio universitari, per fortuna
Comunque mi fa piacere che questa discussione stia prendendo piede: è ora che gli Ingegneri Biomedici Italiani si pongano questi quesiti e affrontino la questione..e che, magari, provino a proporre soluzioni. Chi lo sa, magari in futuro potrebbero venir fuori idee interessanti e innovative, del resto è proprio questo il bello del confronto!